Insorgenze Venete: la premessa
C’è una data chiave nella storia delle insorgenze ed è quella del 1796, l’anno in cui Napoleone invade l’Italia. Fino al 1799, mentre l’invasione si allarga verso il Sud, gli italiani sono insorti in armi contro i giacobini nostrani che appoggiavano le idee della Rivoluzione francese. Nelle terre di San Marco le insorgenze venete hanno una data il luglio 1809. Gli insorti furono oltre trecentomila, e i numeri delle perdite subite sono eloquenti: ne morirono almeno centomila, ma forse furono molti di più.
Insorgenze Venete: le insurrezioni del 1809
Una decade dopo nel 1809 la campagna militare napoleonica contro l’Austria, ha il suo principale teatro nella Baviera e nell’ Alta Austria. Anche il territorio di qua dalla catena alpina viene interessato. Insorge il Tirolo (capeggiato dal sudtirolese Andreas Hofer ), il Veneto (Padova, Rovigo, Vicentino e Verona). Le insurrezioni quindi interessavano “dipartimenti, dell’Adige, del Bacchiagliene, del Basso Po.
Insorgenze Venete: le cause
Le cause della nascita nel Basso Po di gruppi d’insorgenti che oppongono resistenza alla stella sempre più brillante di Napoleone sono di varia natura. I continui bandi di coscrizione che obbligano (migliaia di veneti) centinaia di polesani a servire nell’esercito francese. I continui dazi sul macinato, le nuove imposizioni fiscali. Questo porta centinaia di braccianti esasperati dalla fame e molti giovani disertori a fuggire nelle valli per unirsi e creare bande di disperati. A comandare queste sacche di resistenza sono persone di estrazione sociale superiore possidenti, artigiani, professionisti ma molti parroci. Le azioni di rivolta consistono solitamente nell’assaltare le sedi municipali e incendiarne tutti i registri oltre che a perpetrare violenze sui collaborazionisti e saccheggiare. Requisivano tutto ciò che trovavano farina vino denari armi liberando pure chi stava in prigione.
Insorgenze venete: le bande nel Basso Po
Il vento di ostilità nei confronti di Napoleone crebbe a tal punto da sfociare nel 1809 in un grande movimento che interessò tutto il Veneto. Le insorgenze venete non furono una guerra ma una guerriglia esasperante e carica di odio. Il malessere in Polesine contro i francesi si rese concreto tra aprile e ottobre con il suo apice nel luglio del 1809. In tutto il Polesine decine furono le sacche di resistenza. Due furono le bande armate e che tennero in scacco il territorio adriese e le zone limitrofe. Si trattava della Banda capeggiata dal medico di Beverare Domenico Astolfi che agiva nelle terre a nord di Adria sino a Cavarzere e Rottanova. Mentre la banda capeggiata dal parroco nativo di Bellombra Don Giocoli agiva in tutta la zona del basso Po da Adria al delta, oltre che nel ferrarese.
Insorgenze venete luglio 1809: gli insorti tengono in scacco Adria.
I giorni dell’8 e 9 luglio del 1809 per Adria rimangono i giorni delle Insorgenze venete. Come per gli invasori che verranno negli anni a venire anche il dittatore francese avrà la sua resistenza da combattere. In queste afose giornate di luglio sia la banda Astolfi che quella del Giocoli fanno il loro ingresso in città. Oltre al saccheggio della Dogana, daranno fuoco pure agli Uffici Pubblici arrecando danno alle carte del Catasto e del Municipio. Si salveranno il Museo e le Raccolte del Bocchi perché costudite privatamente e che oggi costituiscono il fondo più cospicuo del Archivio Comunale Adriese. Parte della popolazione adriese (circa 300 cittadini) prese in mano le armi e affrontò i ribelli (tanto da lasciarne due stesi a terra). Con l’arrivo delle truppe governative francesi (circa 250 uomini) tornò pure la calma in città con l’immediata fucilazione di chi fu catturato.
Insorgenze venete: le sentenze e le condanne
La reazione napoleonica ai misfatti compiuti dalle bande di insorti fu sproporzionata. S’incrementarono gli arresti, le perquisizioni, le punizioni e le condanne. Si istituirono tribunali speciali a Verona, Padova, Chioggia e Ferrara. A centinaia caddero sotto i colpi dei plotoni d’esecuzione e chi ebbe salva la vita dovette trascorrere la sua esistenza in carcere. Tra i “capi” e i “sottocapi” che vennero fucilati giusto ricordare Paolo Ruzza e il figlio Daniele nativi di Corbola. Liberale Cecchetto di Costa che partecipò all’assalto di Cavarzere. Tra coloro che furono condannati ai lavori forzati a vita, il chirurgo Domenico Astolfi e il capo dei capi Don Carlo Giocoli.